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Santa Costanzo e il suo nuovo libro

Santa Costanzo

Di Maurizio Benato.

L’autrice riprende la descrizione degli aspetti psicologici della malattia già presenti nella sua precedente fatica “La difficoltà di essere speciali”. Li riprende con una vena lirica che realizza con il ritmo della descrizione, con la musicalità delle parole e con le figure retoriche della lingua. Questi strumenti sono utilizzati per esprimere in modo originale il suo mondo interiore, i suoi sentimenti e i suoi stati d’animo più profondi. L’esperienza del dolore collegato alla malattia diventa l’occasione per l’espressione immediata del mondo interiore dell’autore. Ma il dolore i ricordi o i rimpianti si mescolano con la gioia, i sogni o le speranze, e questo le permette di ritrovare nel buio più profondo della notte la bellezza della vita fatta di cose vere per cui vale la pena di vivere. Oggi, da un punto di vista delle scienze umane, definiamo questa esperienza “resilienza” mutuando la parola dalla scienza dei materiali. Resilienza che sottolinea la capacità di alcune sostanze di resistere, senza spezzarsi, agli urti e alle pressioni; soprattutto, sottolinea la capacità di detto materiale di riprendere la sua forma originaria. L’individuo resiliente, indica la persona capace di ricostruire un equilibrio di salute e benessere anche in seguito a situazioni fortemente avversive e differisce da un altro che, invece, ne è meno o quasi per nulla capace. Santa Costanza si direbbe è una resiliente ma non è solo capace di sopravvivere come capacità di leggere l’esperienza a cui attingere al presentarsi di un elemento stressogeno. Alla resilienza associa il” coping”. Il costrutto di “coping”, ne rimarca le strategie utilizzate per essere resilienti. In termini comportamentali, infatti, il coping è la scelta e l’attuazione, in base alla propria intelligenza emotiva, di strategie tra una miriade di scelte modali offerte dall’ambiente. Il “coping” per Santa è la strategia di donarci la sua esperienza con un messaggio: diamoci da fare tutti per cambiare quello che non va in sanità, nella sua organizzazione, nel rapporto medico paziente, perché la sanità è un patrimonio di tutti, medici, operatori sanitari ma soprattutto dei pazienti.

Il suo “j’accuse” o denuncia  non si ferma all’organizzazione, il contenitore, ma anche all’indebolimento dei contenuti ovvero alla relazione medico paziente svilita dal sistema organizzativo.

Afferma Karl Jaspers (1883-1969) che “l’agire del medico poggia su due pilastri: da un lato la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica, dall’altro l’ethos umanitario”. La malattia non si può disgiungere dal malato, non è una realtà separata dal malato, ma un evento biografico, che si iscrive cioè nel vissuto del malato; malato che va visto pertanto in ragione della sua complessità, delle sue tante peculiarità e che richiede il dovere del medico di confrontarsi sempre “ad personam”, con un ragionamento che sul piano personale non può che essere eminentemente idiografico e mai nomotetico.

Negli ultimi tempi si parla molto di medicina narrativa soprattutto da un punto di vista fenomenologico-ermeneutico. Nell’idea di narrazione è implicita l’idea di un movimento, di una trasformazione, di una discontinuità. Un racconto finisce, un altro comincia. Il discorso scientifico vorrebbe essere privo di narrazioni e costituirsi come presa d’atto di un’autoevidenza. Ecco, il medico per Santa Costanzo dovrebbe capire che la verità scientifica ovvero quello che, agli occhi di un sanitario rispetto ad un malato, è scientificamente vero, giusto ,appropriato o adeguato dipende da:

– come si conosce un malato!
– da chi conosce questo malato!
– dal contesto in cui si conosce!