Il principio bioetico di giustizia e il dovere di un Ordine professionale – a cura di Maurizio Benato
Molto spesso assisto a commenti che generalizzano un giudizio negativo su singoli colleghi per finire poi per colpire l’intera categoria dei medici. Giudizi che arrivano fino a teorizzare l’inutilità degli Ordini e quindi il loro superamento per il mancato controllo ad essi riservato sulla qualità dell’esercizio professionale. Mi occupo di etica e deontologia nell’ambito della medicina per diverse ragioni anche per aver avuto responsabilità istituzionali e professionali per diversi anni.
Vorrei pertanto proporre su questo argomento un supplemento di riflessione. Per farlo, è bene chiarire subito qual è il postulato che giustifica l’esistenza degli Ordini professionali. Non è di certo, come pensano i più, quello di tutelare gli interessi dei professionisti ma è invece quello di tutelare gli interessi dei cittadini e con questa tutela promuovere i valori della professione. Ricordo anche che gli Ordini si occupano di deontologia ovvero che è compito loro definire autonomamente un codice deontologico con cui disciplinare i comportamenti della professione e che deontologia vuol dire sostanzialmente etica del dovere. Di conseguenza, se i doveri dei medici sono garantiti dall’istituzione Ordine, allora sono anche garantiti i diritti dei cittadini. Il postulato pertanto si può ragionevolmente condensare in “moralità per la legalità”; il dovere nella logica delle procedure dell’Ordine è usato quale primaria garanzia di tutela dei diritti dei cittadini e quindi della legalità. La prima garanzia offerta dall’Ordine è l’integrità morale dei professionisti. Fatte queste premesse mi sento di affermare che la funzione degli Ordini, del codice deontologico e quindi della deontologia è oggi più che mai vitale, perché la sanità, prevalentemente pubblica da anni, è sottoposta a politiche di restrizione finanziaria così pressanti da mettere gli operatori nella situazione di non poter garantire il rispetto dei loro doveri. Oggi i medici sono decurtati negli organici, sottoposti a tanti vincoli procedurali e a tanti diversi tipi di limiti economici, per cui fanno fatica a svolgere correttamente il loro “dovere”. Oggi moralità e legalità diventano funzioni di un inquietante economicismo e in questo modo l’Ordine rischia di non essere più il garante morale della buona pratica clinica. E il sospetto diventa certezza quando non vedo alcuna resistenza morale da parte di chi oggi rappresenta l’istituzione, e ne ha la responsabilità, di fronte a comportamenti indotti dalla politica, per cui il principio bioetico della giustizia di fatto è sostituito con quello di rispondenza economica, quando vedo accettare senza la minima resistenza politico-professionale l’idea che il nostro paziente abbia solo ciò che è permesso a priori economicamente e impartito paternalisticamente dalla scienza medica. Ma soprattutto quando vedo accettare politiche di de-medicalizzazione senza che queste siano sostituite da altre politiche per la salute. Penso che questi comportamenti minino alla base il fondamento dell’esistenza dell’Ordine. Non metto in dubbio di certo le difficoltà che si incontrano nell’affrontare temi quali quello della sostenibilità del servizio sanitario, ma accettare supinamente, senza alcun scatto d’orgoglio, tutte le condizioni poste da parte pubblica, svilisce la funzione dell’Ordine e la credibilità dell’intera Istituzione.
Chiedo pertanto, e sono ormai parecchi a chiederselo, che si metta in campo una forte capacità di interpretare e gestire la natura e la complessità dei fenomeni che negli ultimi anni hanno coinvolto e spesso travolto le tradizionali linee di esercizio professionale e che hanno sollecitato lo sviluppo di comportamenti difensivi, di paure, di sospetti e, talora, di rassegnate soluzioni individuali volte ad una mera riduzione del danno. Chi se non l’Ordine dovrebbe esprimere al meglio questa sorta di responsabilità morale? Chi se non l’Ordine dovrebbe esprimere in modo del tutto extra-corporativo una rinnovata prossimità al cittadino restando fedele al nostro postulato di partenza “moralità quale garanzia di legalità”? L’Ordine dovrebbe uscire dall’anonimato, dovrebbe liberarsi dei tanti lacci e cappi risultato invece di una vicinanza inquietante con gli interessi corporativi dentro la professione. Una cosa è certa, oggi la questione della deontologia, vale a dire dei doveri, si pone forte più che mai dentro la professione, dentro gli organismi che la rappresentano e diventa una carta su cui si gioca la credibilità dell’Istituzione Ordine nel contrastare la perdita di fiducia e l’estraneità rassegnata dei propri iscritti rispetto alle problematiche più generali della professione e ai soggetti che li rappresentano.