Fibromialgia: serve ancora la diagnosi?

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A cura di Riccardo De Gobbi.

Il termine di fibromialgia o meglio di sindrome fibromialgica, è stato attribuito dai reumatologi ad un insieme di sintomi che tendevano a presentarsi insieme in un numero non trascurabile di pazienti. La prima guida alla diagnosi risale al 1990 a cura dell’American College of Rheumatology: la diagnosi era probabile se il paziente presentava un dolore cronico in almeno 11 su 18 punti dolorosi individuati in ambedue i lati del corpo a livello del tronco, del collo e degli arti sempre che il dolore non fosse dovuto ad altre malattie. Questi criteri diagnostici tuttavia erano legati alla abilità dell’esaminatore e non tenevano conto di altri frequenti sintomi presenti in quei pazienti ovvero la stanchezza, i disturbi del sonno e disturbi cognitivi (memoria e pensiero).

Nel 2010 l’American College ha proposto nuovi criteri diagnostici meno influenzati dall’esaminatore: la diagnosi viene effettuata sulla base della presenza e della intensità del dolore in 18 regioni corporee e della gravità degli altri sintomi (stanchezza e disturbi del sonno, disturbi cognitivi): dolori e sintomi debbono persistere da almeno tre mesi e devono essere escluse altre diagnosi.

Cosa conosciamo di questa sindrome
Non conosciamo le cause della fibromialgia e non siamo in grado neppure di prevederne il decorso; non sono state evidenziate anomalie strutturali e o funzionali dei tessuti muscolo tendinei, ma sono state rivelate anomalie nella percezione ed elaborazione degli stimoli dolorosi in questi pazienti: secondo alcune ricerche si tratterebbe in particolare di una amplificazione del segnale doloroso. La prevalenza della fibromialgia è del 2,1% in Germania, e del 6,4% in Minnesota (USA); essa interessa più le donne che gli uomini e si manifesta più frequentemente oltre i 60 anni di età.

Diagnosi
La diagnosi di fibromialgia è puramente ed esclusivamente clinica: nessun esame ematochimico o strumentale supporta la diagnosi; generalmente anzi anomalie ematochimiche e strumentali debbono suggerire ipotesi diagnostiche differenziali. La utilità di questa diagnosi secondo alcuni esperti è controversa in quanto essa contribuirebbe a medicalizzare e quindi a trattare farmacologicamente disturbi e sofferenze che non hanno una chiara base fisiopatologica. Altri esperti ritengono tuttavia che il fatto di arrivare ad una diagnosi sia rassicurante per questi pazienti: alcuni studi infatti hanno dimostrato che la frequenza di visite ambulatoriali e di richieste di esami diminuisce sensibilmente in questi pazienti dopo la diagnosi di fibromialgia.

Terapia
I trattamenti proposti sono numerosi ma nessuno ha dimostrato risultati significativamente superiori agli altri trattamenti. Va anzitutto segnalato l’esercizio fisico che sembra dare buoni risultati specie se accompagnato da interventi educazionali e da psicoterapia cognitiva, indicata in particolare se sono presenti sintomi ansiosi e depressivi.
Tra i molti farmaci proposti quelli che hanno dimostrato una maggiore ma sempre moderata, efficacia sono il tramadolo specie se associato al paracetamolo, e la amitriptilina. Più modesta la efficacia dei fans, di gran parte degli antidepressivi e degli antiepilettici (gabapentin ecc.). È spesso utile associare diversi trattamenti (esercizio e farmaci) od alternare i farmaci se un primo trattamento risulta dopo qualche tempo inefficace.

Conclusioni
La sindrome fibromialgica non ha una chiara eziologia né patogenesi, la diagnosi è frutto di una convenzione e non vi è risposta univoca e duratura ad alcuna terapia. Tuttavia può essere utile ed opportuno diagnosticarla seguendo i criteri dell’American College, perché la diagnosi sembra migliorare lo stato di salute dei pazienti, ridurre il loro ricorso a visite ed esami, e migliorare la efficacia della stessa terapia.