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Fascite necrotizzante: riconoscerla per salvare una vita

diagnosi_fasciteA cura di Riccardo De Gobbi.

La “fascite necrotizzante” o, forse più correttamente, le “infezioni necrotizzanti dei tessuti molli”, erano in passato indicate come “gangrena gassosa”, “gangrena nosocomiale” e “gangrena di Fournier”. La caratteristica comune di tutte queste forme è la necrosi a rapida estensione dei tessuti molli sottocutanei che può interessare le fascie ed i muscoli e che spesso ma non sempre interessa la cute. L’intervento chirurgico è necessario nella larga maggioranza dei casi e, se la diagnosi non è tempestiva, sono spesso necessari interventi demolitivi, con frequenti gravi complicazioni ed una mortalità che può superare il 50%.

La fascite necrotizzante non è una affezione comune ma neppure molto rara: nel Regno Unito sono diagnosticati circa 500 casi l’anno, il che significa che la maggior parte dei dipartimenti di emergenza accoglie almeno una persona affetta l’anno e che gran parte dei medici di primary care vedrà almeno un paziente con fascite necrotizzante nel corso dei vari decenni di attività. Riconoscere tempestivamente la fascite ed in genere tutte le infezioni necrotizzanti dei tessuti molli è dunque molto importante perché la diagnosi tempestiva può evitare la larga maggioranza dei decessi e degli interventi demolitivi (amputazioni).

Le prime manifestazioni

Ogni medico ricorda il quadro caratteristico riportato nei testi universitari: edema, bolle cutanee spesso emorragiche, aree di necrosi, talora crepitio dei tessuti sottocutanei. In realtà queste manifestazioni compaiono in 4°-5° giornata quando le condizioni del paziente si stanno rapidamente e gravemente deteriorando. Inoltre, il caratteristico e suggestivo reperto del crepitio sottocutaneo è presente nelle forme da germi anaerobi (in particolare il clostridium perfrigens) ma non nelle più comuni forme da streptococchi.

In realtà la diagnosi di queste affezioni è spesso intempestiva perché la presentazione iniziale può simulare una innocua cellulite, una tromboflebite, una borsite, una artrite, un semplice ematoma. Se sono presenti febbre e malessere generale questi debbono sempre suggerire la ipotesi diagnostica di forma necrotizzante, che nel dubbio va sempre trattata. Il sintomo che costituisce una vera e propria “red flag” è il dolore, generalmente molto intenso, quasi sempre non proporzionato alla entità del dato obiettivo. Esso è dovuto alla infiammazione ed occlusione dei piccoli vasi, in particolare dei vasa nervorum: è per questo motivo che a volte compaiono aree di ipo-anestesia.

Le infezioni necrotizzanti sono più comuni negli individui defedati od immunodepressi: in questi ultimi e nei tossicodipendenti i sintomi sistemici non si manifestano o lo fanno in maniera attenuata e/o tardiva.

La Diagnosi

Il sospetto diagnostico può e deve essere sempre posto sulla base dei dati clinici. In particolare la sproporzione tra il sintomo “dolore” e l’apparente modesto quadro obiettivo nonché la presenza di febbre e malessere debbono immediatamente suggerire questa ipotesi diagnostica. Il laboratorio evidenzia un marcato incremento della proteina C reattiva, un’importante leucocitosi e nelle forme più avanzate l’aumento della creatinina e la diminuzione del sodio. L’esame batteriologico fornisce spesso indicazioni tardive.

La Terapia

L’unica terapia risolutiva è quella chirurgica che va intrapresa il più precocemente possibile. La terapia antibiotica (benzilpenicillina, flucloxacillina e clindamicina) va sempre instaurata ed in associazione alla chirurgia accelera la guarigione e limita gli esiti invalidanti. In particolare sembra che la clindamicina inibisca la produzione del superantigene streptococcico che è il principale responsabile dei quadri di shock settico.