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Come difendersi dalle linee guida

Il 62% delle raccomandazioni non sono applicabili in medicina generale.

Il NICE (National Institute for Health and Care Excellence) è uno dei più prestigiosi riferimenti mondiali per le linee guida della buona pratica clinica ed è il più autorevole per ciò che riguarda la medicina generale. I general practitioner di cultura anglosassone valutano con spirito critico le linee guida delle società scientifiche internazionali e fanno riferimento a quelle che il NICE seleziona per la medicina generale.

Il Journal of Clinical Epidemiology propone un interessante studio basato proprio su un approfondito esame di queste linee guida, con particolare riguardo a quelle riferite al 2010 e 2011 per quanto riguarda la primary care.

Delle 45 linee guida, 23 sono state scartate in quanto non pertinenti o non rilevanti per la primary care stessa. Le rimanenti, comprendono a loro volta 1185 raccomandazioni e circa il 35% di queste è stato nuovamente scartato. Tale processo di “scrematura” ha portato a un gruppo di 495 raccomandazioni ricavate da 1573 pubblicazioni ed è risultato che solo il 38% di queste erano realmente basate su pazienti tipici della primary care. In altri termini, ciò significa che il 62% delle raccomandazioni del NICE per la medicina generale sono di incerta rilevanza.

Come esempi paradigmatici di linee guida non adatte al contesto della medicina generale, l’articolo cita alcuni casi: il primo riguarda l’uso di beta bloccanti e di ACE-inibitori nello scompenso cardiaco, uso giustificato nei pazienti di classe III-IV NYHA, ma da valutare invece attentamente, dati i potenziali gravi effetti collaterali cardiaci e renali nei pazienti di classe I-II, più comuni nella primary care. Il secondo caso riguarda l’uso di ASA nei pazienti con arteriopatia: giustificato in presenza di sintomi  e complicazioni ma dubbio (anche se consigliato) nei pazienti arteriopatici asintomatici, ovvero la maggioranza degli arteriopatici della medicina generale. Un terzo significativo esempio fa riferimento ad una ricerca olandese che ha esaminato 13 linee guida e 804 pubblicazioni internazionali aventi come oggetto la diagnosi e la terapia della depressione: solo due studi sono stati effettuati su pazienti della primary care.

Gli autori del Journal of Clinical Epidemiology hanno concluso che ogni linea guida e raccomandazione andrebbe valutata da esperti indipendenti: la rilevanza per l’ambito delle cure primarie dovrebbe essere comprovata esaminando in particolare l’ambito in cui è stata effettuata la selezione dei pazienti, la severità della malattia o della condizione, la applicabilità delle soluzioni proposte nella medicina pratica.

È dunque vero che il più autorevole Istituto di valutazione della pratica clinica al mondo incorre nel bias di estendere un complesso contesto di linee giuda e raccomandazioni formulate in altri ambiti e su gruppi di pazienti molto diversi da quelli della medicina generale ma, è anche vero che in ambito internazionale, le ricerche affidabili condotte su tale categoria sono poche. La motivazione probabilmente sta nel fatto che sono pochi gli enti pubblici che le finanziano e sicuramente le aziende private non investono in ricerche che restringerebbero, anziché ampliare, il mercato dei farmaci.

Vi è comunque chi fa di peggio, molto peggio: un importante articolo del Bmj nel 2013 riporta clamorosi esempi di come “esperti”, pesantemente condizionati da conflitti di interesse, abbiamo avuto un ruolo chiave nella approvazione di linee guide scorrette che hanno causato o favorito la morte di migliaia di pazienti. È stato calcolato che il numero di persone decedute in seguito all’uso di queste “autorevoli” linee guida sarebbe molto superiore al numero di vittime dell’attentato del 11 settembre 2001. E che dire di quelle società scientifiche che lavorano su “end point surrogati” ovvero su valori di pressione arteriosa e di parametri di laboratorio (ad es. colesterolo e glicemia) anziché sulla riduzione documentata di complicanze per la popolazione monitorata? Per non parlare poi di quel pool di esperti psichiatri che nel DSM V estende i criteri diagnostici per la depressione ed il disturbo della attenzione con iperattività recuperando così ampie popolazioni suscettibili di trattamento farmacologico: sorge spontanea la ipotesi di un disease mongering.

Come possiamo reagire a questa situazione?

In un solo modo: studiando, ragionando, discutendo tra noi e prendendo sempre le nostre decisioni basandoci esclusivamente sugli interessi dei nostri pazienti. Per la valutazione delle linee guida, un utile strumento ci viene fornito dal SNLG (Sistema Nazionale Linee Guida), con la sua banca dati comparativa, nella quale vengono scelte e revisionate, sulla base dei punteggi Agree, le linee guida esistenti su numerose condizioni cliniche. (http://www.snlg-iss.it/banca_dati_comparativa)

Riccardo De Gobbi